domenica 23 gennaio 2011

Creatività e Collaborazione (parte II)

Nella puntata precedente di questo post ci eravamo lasciati discutendo il rapporto tra reti sociali e creatività. Come vi avevo anticipato con il mio collega della New York University Gino Cattani ho testato queste idee nel contesto cinematografico di Hollywood (per una disamina dettagliata trovate qui l’articolo scientifico). In sintesi, dopo oltre 3 anni di raccolta dati, abbiamo analizzato la struttura di collaborazioni di circa 30mila professionisti di Hollywood (tra registi, attori, montatori, sceneggiatori, produttori, direttori della fotografia, scenografi  e compositori), coinvolti tra il 1992 e il 2004 nella realizzazione di 2300 film.



Per oggettivare la performance creativa di ogni singolo individuo abbiamo quindi preso in considerazione una vasta gamma di prestigiosi premi assegnati annualmente dall’industria cinematografica statunitense (come gli Oscar, i Golden Globe, i Los Angeles Film Critics Awards, New York Film Critics ecc..). Abbiamo poi confrontato l’indicatore così ottenuto con la rete di collaborazioni sviluppate da ciascun artista nel corso della propria carriera. Così facendo abbiamo scoperto un trend molto interessante. Gli individui più creativi non operano ai margini di questa rete, ma non sono neanche centrali. Tipicamente è invece alle posizioni intermedie tra la periferia e il centro del sistema sociale che corrisponde il successo creativo. Che cosa significa questo risultato? Che implicazioni pratiche ha per chi si occupa, ad esempio, di gestione dell’innovazione o di management della creatività? Se siete incuriositi permettetemi di rinviarvi al podcast di questa intervista, che ho recentemente rilasciato ad una emittente nazionale discutendo ad ampio spettro di creatività e collaborazione. Gli stessi temi sono poi stati ripresi dal Corriere in una intervista che ho rilasciato successivamente. La trovate qui.Il file audio è un pò pesante ma la qualità è OK. Buon ascolto!


martedì 18 gennaio 2011

Evan Nisselson: come lanciare una start up e come organizzare il fund raising in Silicon Valley, NY ed Europa

EnLabs, con la collaborazione di Innovation Lab organizza un evento nel quale Evan Nisselson (http://www.linkedin.com/in/nisselson) ci parla della sua esperienza di startupper fra Silicon Valley, New York ed Europa, di come gestire la crescita, il successo e l'insuccesso e di come effettuare un fund raising. Evan oggi è mentor di SeedCamp, Mind the Bridge ed altre iniziative.

Quando: Thursday, January 20, 2011 from 6:00 PM - 9:00 PM (GMT+010)

Dove: Via Montebello, 8 00185 Rome -  Italy

L'evento è a offerta libera.


Per ulteriori dettagli, visita: http://www.eventbrite.com/event/1215201701/efbnen


lunedì 17 gennaio 2011

L'ACCADEMICO IMPRENDITORE

Oggi ospitiamo con grande piacere le riflessioni di Riccardo Fini in tema di Imprenditorialità Accademica, un’area di ricerca in grande fermento e di assoluto interesse per chi si occupa di Imprenditorialità e Innovazione. Riccardo è ricercatore presso l’Imperial College e si occupa da alcuni anni di questo affascinante fenomeno. A seguire ha sintetizzato per noi i risultati di un suo studio recentemente pubblicato e che è stato anche oggetto di discussione nella prestigiosa rivista Nature. Dunque, Riccardo, a te la parola!

Creazione di Impresa in Ambito Accademico

Nel corso degli ultimi dieci anni, in tutti i paesi maggiormente industrializzati, le istituzioni universitarie hanno subito forti pressioni dall’opinione pubblica e dagli stessi politici circa la necessità di mantenere elevati livelli di produttività a fronte di una maggiore razionalizzazione dei fattori in input. In aggiunta a ciò, a seguito della recente crisi finanziaria mondiale, come testimoniano i recenti eventi in Gran Bretagna, le università hanno dovuto gestire una forte riduzione del finanziamento pubblico alle attività di ricerca e al contempo, a seguito di pressioni dal mondo politico, enfatizzare le attività di ricerca applicata, nel tentativo di aumentare gli introiti monetari originati dalla commercializzazione dei risultati della ricerca universitaria (OECD, 2009).

A seguito di ciò, gli amministratori universitari e gli stessi politici hanno investito un considerevole ammontare di risorse per promulgare e sostenere le attività di trasferimento tecnologico (Knowledge Transfer Activities – KTA) da parte degli accademici. Per esempio, negli Stati Uniti, due delle più importanti leggi in materia di KTA, il Bayle-Dole Act e lo Stevenson-Wydler Act, sono state emanate nei primi anni ’80, ed hanno permesso e garantito ad università e laboratori governativi la possibilità di brevettare i propri risultati di ricerca, appropriandosi delle royalties originate dalla commercializzazione della tecnologia. Altre nazioni hanno investito in riforme similari, ad esempio la riforma del sistema universitario nel Regno Unito ed in Olanda negli anni ’90, il cosiddetto Loi Allegre introdotto nel 1999 in Francia, e l’introduzione di leggi ad hoc da parte del governo svedese all’inizio degli anni ’80. Più recentemente, anche in Italia, si è potuto assistere alla creazione di un nuovo sistema istituzionale (a seguito dell’introduzione della Legge 297 nel 1999) che ha permesso il trasferimento di alcuni poteri direttivi dal governo centrale alle singole università, enfatizzando le pratiche imprenditoriali all’interno di ciascuna istituzione.   

Le KTA possono originarsi a seguito di due processi marcatamente differenti. Alcune di esse fanno riferimento a quei settori scientifici in cui il progresso della conoscenza avviene prevalentemente a seguito dell’introduzione di nuove pratiche e metodologie che originano cambiamenti repentini e discontinuità negli scenari tecnologici di riferimento. Ciò si verifica in quei settori tecnologici quali il farmaceutico e le biotecnologie che sono caratterizzati da elevati regimi di appropriabilità, nei quali esiste quindi la possibilità di proteggere l’innovazione tecnologica mediante il ricorso alla proprietà intellettuale. La commercializzazione dei risultati della ricerca accademica avviene, in questo caso, attraverso le pratiche di brevettazione, la concessione di tecnologia in licenza, nonché tramite la creazione di nuovi imprese basate su tecnologia brevettata (IP-based KTA). In altri casi, invece, le KTA vengono principalmente originate attraverso la ricombinazione di conoscenza già esistente, ricercando la soluzione a problemi mediante il ricorso a scoperte precedenti piuttosto che a nuovi paradigmi tecnologici. Ciò avviene prevalentemente nelle scienze naturali e sociali, attraverso attività di consulenza e di collaborazione fra università ed impresa (non IP-based KTA).

Nonostante la documentata eterogeneità, la maggior parte degli studi si è focalizzata su KTA basate su tecnologia protetta da diritti di proprietà intellettuale. Pertanto, ad oggi, esistono ancora innumerevoli lacune relativamente allo stato dell’arte della conoscenza. In primis, non conosciamo l’entità del fenomeno, non sapendo in che percentuale le KTA si manifestano all’interno ed all’esterno del sistema di proprietà intellettuale. Non abbiamo inoltre informazioni circa l’impatto e l’efficienza differenziale dei meccanismi di supporto universitario sull’attivazione di entrambi i tipi di KTA. A causa della esiguità di tali dati, in innumerevoli casi si è verificato che gli amministratori universitari abbiano enfatizzato politiche e meccanismi orientati alla protezione della proprietà intellettuale universitaria, considerando le università come vere e proprie imprese private, piuttosto che supportare e permettere una maggiore condivisione di conoscenza fra università e mercato. Nel tentativo di proteggere e sfruttare le conoscenze sviluppate in ambito universitario, questo tipo di pratiche ha originato, paradossalmente, una riduzione delle collaborazioni tra imprese e università, come documentato nella letteratura esistente.

Nell’articolo intitolato “Inside or Outside the IP-System. Business Creation in Academia” apparso su Research Policy nel 2010, abbiamo cercato di contribuire a questo dibattito mostrando come negli Stati Uniti, gli spin-off accademici che nascono a valle della commercializzazione di tecnologia protetta da diritti di proprietà intellettuale sono basati su di un tipo di conoscenza circoscritta a pochi ambiti scientifici (se comparati con quelli che si originano al di fuori del sistema di IP). Lo studio, condotto nel 2007, e’ basato su di un campione di 11.572 individui, rappresentativo dell’intera popolazione degli accademici statunitensi (58.646)I risultati mostrano che i partecipanti allo studio hanno fondato 1.948 imprese, di cui 682 basate su tecnologia brevettata mentre le rimanenti 1.266 no. Questo trend ancora una volta testimonia il fatto che se l’attenzione ed il supporto alle pratiche di trasferimento di conoscenza accademica è focalizzato sui soli domini scientifici in cui la conoscenza è effettivamente brevettabile, un’intera parte delle KTA ne potrebbe risultare fortemente danneggiata.

Letture di approfondimento


Baldini, N., Grimaldi, R., e Sobrero, M., 2006. Institutional changes and the commercialization of academic knowledge: A study of Italian universities’ patenting activities between 1965 and 2002. Research Policy, 35, 518–532.

Fini R., Grimaldi R., e Sobrero M., 2009. Factors Fostering Academics to Start up New Ventures: an Assessment of Italian Founders' Incentives, Journal of Technology Transfer, 34, 380-402.

OECD, 2009. OECD Science, Technology and Industry Scoreboard 2009, OECD Publishing.

Rothaermel, F., Agung, D., e Jiang, L., 2007. University entrepreneurship: a taxonomy of the literature. Industrial and corporate change 16, 691–791.

Shane, S., (Ed.) 2004. Academic entrepreneurship: University spin-off and wealth creation. Northampton, MA: Edward Elgar Publishing.

lunedì 10 gennaio 2011

Creatività e Collaborazione (parte I)


Negli ultimi anni nella mia attività di ricerca mi sono occupato con una certa continuità di creatività, un tema ovviamente centrale nel dibattito sull’imprenditorialità. L’ho fatto cercando di sfatare la dominante visione solipsistica che alimenta il mito del creativo geniale e solitario. Ovviamente è più facile identificarsi in questo ideale di eroe romantico che esalta qualità straordinarie di inventori, artisti e imprenditori (che entrano immediatamente nell’immaginario collettivo). L’evidenza scientifica tuttavia sempre più spesso offre una visione che si discosta, talora diametralmente, da questo ideale.

Randall Collins, uno dei massimi sociologi americani viventi, ha condotto uno studio enciclopedico su questo tema ricostruendo la carriera di alcuni dei più importanti scienziati, artisti e filosofi nella civiltà Occidentale ed Orientale. Tra questi Beethoven, Darwin, Freud, Hume, Einstein per citarne alcuni.


Collins mostra in maniera meticolosa come quasi tutti questi individui fossero accomunati  dall’appartenenza a ricche reti sociali che includevano altri scienziati, pensatori e artisti con i quali scambiavano idee e conoscenza attraverso processi di competizione e collaborazione. Recenti evidenze apparse su Science mostrano poi come tanto nelle scienze sociali quanto in quelle naturali la collaborazione sia sempre più importante nei processi alla base delle produttività scientifica. Wuchty, Jones & Uzzi (2007) ad esempio hanno dimostrato che in pressoché tutti i domini disciplinari la dimensione media dei team di ricerca nel corso degli ultimi 45 anni è circa raddoppiata (si veda la figura sotto).

L’importanza crescente dei team nella produzione di conoscenza


Non solo, i lavori scientifici che sono frutto di collaborazioni mediamente ricevono più attenzione e citazioni rispetto a quelli individuali. E’ inoltre più probabile che un breakthrough, ovverosia un lavoro ad impatto eccezionalmente alto, sia frutto di una collaborazione che non di un autore singolo. In un altro studio recente Lee Fleming, un ricercatore di management e innovazione dell’Università di Harvard, ha ricostruito la mappa di collaborazioni che sottende l’innovazione prodotta da Silicon Valley (che ho riproposto qui sotto) giungendo a considerazioni analoghe.  

Il network di collaborazioni tra gli inventori di Silicon Valley


Fleming, Lee, and Adam Juda. "A Network of Invention”, Harvard Business Review 82, no. 4


Persino in aree disciplinari per loro natura facilmente associabili alla visione solipsistica del genio creativo, come ad esempio la pittura, la musica o la poesia la componente sociale o collaborativa è spesso molto più centrale di quanto non si immagini. Vi consiglio in proposito il bel libro dello storico Michael Farrell Collaborative Circles: Friendship Dynamics and Creative Work, che offre una ricchissima casistica di creatività collaborativa in cui rientrano fra gli altri scrittori come Lewis; Tolkien, il gruppo dei poeti Fuggiaschi e i maggiori esponenti dell’impressionismo francese.
Perché dunque la dimensione sociale è così importante? Essenzialmente per due motivi. Primo perché il lavoro creativo invariabilmente comporta ricombinazione di materiale, idee e conoscenze preesistenti il cui accesso è, almeno in parte, regolato dalle reti sociali in cui gli individui sono immersi. Secondo, perché i frutti di qualunque sforzo creativo, per quanto radicali e innovativi non possono affermarsi in assenza di una comunità ricettiva in grado di legittimare gli sforzi innovativi facilitando accesso a risorse (simboliche e/o materiali) indispensabili per creare. E’ per questo motivo che difficilmente si può comprendere l’origine delle innovazioni e delle idee prescindendo dal contesto sociale, dalla struttura di collaborazioni e dalle reti in cui tali idee emergono e si affermano. Personalmente ho applicato e testato queste idee nel contesto cinematografico di Hollywood. Nella parte II di questo post cercherò di spiegare come ho fatto e con quali risultati. A presto!